• di Enzo Manes
  • 4 aprile 2022

Mettere a frutto un’esperienza

Da manager di successo a imprenditore. La testimonianza di Giovanni Grava, socio fondatore e amministratore delegato di Tutela Legale spa. Una realtà che si avviata quando è iniziata la Grande Crisi del 2008

Diciamo subito che l’ospite del Club Libera Impresa, in un sabato mattina (19 febbraio 2022) di racconto e dialogo allestito nello storico ambiente dell’Abbazia di Mirasole alle porte di Milano, era in grande forma: “Alla nostra conversazione di oggi darei questo titolo: ‘Mettere a frutto un’esperienza”. Giovanni Grava, uno dei due soci fondatori e amministratore delegato di Tutela Legale spa, impresa del ramo assicurativo a forte contenuto di specializzazione, ha costruito la sua vivace comunicazione, arricchita dal dialogo con gli intervenuti (come da caratteristica vitale di questi incontri), rendendo ragione al titolo suggerito. Come elemento di sintesi della propria avventura umana e professionale; e come pilastro su cui è riuscito a costruire qualcosa di sensibile che, anno dopo anno, si dimostra alla prova dei fatti una realtà capace di generare valore. 
Quella che ha raccontato non è una storia imprenditoriale consueta. Lineare. Ma di tutt’altro segno. Coraggiosa. Insidiosa. A forte rischio di concludersi, addirittura, prima di avviarsi. Diciamo un percorso controvento. Un po’ come quei pugili che colpiscono indietreggiando. Solo i fuoriclasse alla Mohammed Alì, per intenderci. Ciascuno sul proprio ring. Grava era un manager in carriera in un importante brand del mondo delle assicurazioni. Poi, “la lettura della realtà delle cose che mi sono successe a un certo punto della mia vita lavorativa” lo ha messo in moto verso un passaggio a cui non aveva mai pensato: costruire un’impresa. Dunque, essere e fare l’imprenditore. Da manager a imprenditore.  “Io penso che in una quota apprezzabile di casi, all’origine di un’impresa o ci sono tradizioni famigliari dalle quali uno proviene e per cui si trova immerso in un flusso di storia che lo indirizza; oppure ci sono idee imprenditoriali originali e innovative sulle quali si costruisce una sfida imprenditoriale. Per me non è stato così. La mia decisione – una sorta di appuntamento con il destino detto in modo forse enfatico ma vero – ha tenuto conto di vent’anni di esperienza lavorativa nel settore. Si trattava, a un certo momento, di mettere a frutto proprio quel fondamentale lasso di tempo dove ero cresciuto raccogliendo anche soddisfazioni e gratificazioni”. La grande determinazione nel provare a mettere in piedi un’impresa ha giocato un ruolo assai significativo. In lui come nel socio, Tommaso Buraglio, anch’egli dirigente nella stessa compagnia. Due manager in carriera che decidevano di mettersi in discussione per non mettere in discussione il loro storico. Tutela Legale spa è nata come risposta non certo campata per aria, seppur almeno un poco con i tratti della pazzia, all’insopportabile insidia di veder dispersi i frutti del proprio lavoro. 

Le cose sono andate così
Giovanni Grava ha lavorato per diciotto anni alla Ras, un nome conosciuto nel mercato assicurativo, ma che oggi non esiste più. Si trattava di un gruppo che annoverava oltre quattromila dipendenti e con un marcato respiro internazionale. Quella realtà controllava una quarantina di società, di cui circa una ventina del ramo assicurativo. “Una bellissima azienda, una grande scuola professionale”. E una storia lunga 150 anni. Infatti, ha ricordato Grava, la Ras venne fondata nel 1838. Solidità patrimoniale e strategicamente orientata agli investimenti. “L’investimento sulle persone era centrale e quindi per chi vi lavorava era notevole l’opportunità di imparare”. Grava era impegnato nel ramo della compagnia che si occupava della tutela legale. “Si tratta “di una forma di gestione delle controversie, delle liti legali, delle cause legali di tipo assicurativo. Cioè: i nostri clienti che hanno necessità di promuovere un giudizio nei confronti di una loro controparte o di difendersi in giudizio perché chiamati in causa da un altro soggetto ottengono dalla compagnia l’assistenza legale, nella prospettiva di provare a risolvere bonariamente la controversia; e se questo tentativo non va a buon fine a quel punto l’assicurato nomina il suo legale di fiducia che svolge la sua attività di patrocinio nella sede giurisdizionale dove si instaura la controversia e poi la compagnia – alla conclusione del procedimento – paga tutte le spese legali, eventualmente quelle della controparte se c’è un esito sfavorevole, le perizie, eccetera. Perché c’era una compagnia specializzata nell’ambito del gruppo Ras? Per una ragione molto semplice: perché questo mestiere lo si può fare in maniera diciamo virtuosa solo se si è sicuri di essere sgombri da possibili rischi di conflitti di interesse e se c’è una forte specializzazione in questo settore; in quanto comporta conoscenze tecniche assai approfondite. Pertanto: autonomia, indipendenza (almeno di giudizio) e specializzazione. Dunque, gli elementi dell’autonomia e della specializzazione sono alla base della esistenza di compagnie nel mercato assicurativo specializzate nella tutela legale”. Tutto d’un fiato per fornire una fotografia.
Grava, come Buraglio, ci sapevano fare. Ciò ha voluto significare un aumento delle responsabilità, fino a guidare team. Avanzamenti nella carriera, insomma. Tutto piuttosto bene. Nel 2007 il colosso Allianz, che nel frattempo aveva acquisito il controllo del gruppo Ras, decise di entrare direttamente ad occuparsi della gestione del business. Lo fa costituendo un gruppo secondo il dna classico delle multinazionali: sede centrale a Monaco di Baviera e società nazionali. Un cambio di indirizzo drastico. Sorgono le domande: “Adesso cosa facciamo? Cosa andiamo a fare? Cosa ci faranno fare?; e tra noi si manifestava la consapevolezza che gli elementi dell'autonomia e della specializzazione sarebbero venuti meno”.
Dubbi, turbolenze, incertezze, E anche paure. Il metodo del tritacarne è sempre doloroso. Nel 2007 il clima era questo. E non prometteva niente di buono. La truppa avvertiva la cappa, scivolava inesorabilmente nella demotivazione. Successe anche al capo di Grava. Ancora un attimo di pazienza; ci stiamo avvicinando alla scintilla. Il capo abitava in una foresteria di proprietà del gruppo. Gli diedero l’aut aut: restituire l’immobile o comperarlo. Optò per comperarlo. Tornato in ufficio diede la notizia: “Ragazzi sono diventato povero, non ho più soldi”. Buraglio rispose: “Mai dai, con i soldi che ti rimangono tu potresti tranquillamente aprire una compagnia di tutela legale”. Grava ha ascoltato. In silenzio. Un silenzio rivelatore. Perché il silenzio lavora. La scintilla, la scintilla…

Un foglio di Excel
Rincasato a sera, Giovanni Grava avvertì che la frase buttata lì dal collega iniziava a ronzargli nella testa. Dopocena, prese il portatile aprendolo su un foglio di Excel. “Incomincio a scrivere. Butto giù idee, numeri, ipotesi. Senza rendermi neanche ben conto mi faccio prendere da questo concatenamento di pensieri e vado avanti per molto tempo. A certo punto guardo l'orologio: le 4:30 di mattina! Vi assicuro che non mi ero reso conto del tempo passato; oltre sei ore abbondanti a smanettare. A quel punto salvo il lavoro, vado a letto. La sveglia è programmata per suonare due ore dopo. Quando arrivo in ufficio stampo i fogli di Excel che avevo scritto durante la notte. Dopodiché vado nell'ufficio di Tommaso e gli dico ‘ecco il piano strategico della nuova compagnia’. Lui mi guarda e fa: ‘ma sei rimbambito?’. E io a lui: ‘no, leggi, poi stasera, alla fine del lavoro, ne riparliamo’. Terminata la giornata ci vediamo. E iniziamo a ragionare. Non certo su un progetto, ma su fogli di Excel che riflettevano un sogno, un'aspirazione, una cosa da visionari, con tante cose probabilmente anche poco sensate”. Da quel momento lì, tutti i giorni dopo il lavoro, i sabati, molte domeniche, approfondivamo l’ipotesi di dar vita a una nostra compagnia di assicurazione”. L’idea prendeva forma. Fino a diventare un vero e proprio progetto. “Diciamo che io e Stefano conoscevamo piuttosto bene il nostro settore, però nessuno dei due aveva mai pensato di mettere in piedi una società. Tanto meno una compagnia assicurativa con tutti gli aspetti di carattere societario, bilancistico, amministrativo, finanziario che si portava dietro e di cui eravamo del tutto all’oscuro. Tuttavia se desideravamo aprire una società non potevamo esimerci da studiare e approfondire tutte le tematiche. A partire dal capitale per avviare una Spa che tenesse conto della normativa a riguardo della solvibilità delle imprese. Per farla breve il capitale che abbiamo versato all'atto della costituzione della compagnia è stato di 2 milioni e mezzo e poi abbiamo dovuto anche recuperare altri fondi che erano, diciamo così, quelli per l'organizzazione iniziale dell'attività”.
In un anno, da maggio 2007 a maggio 2008, si lavorò alacremente. Ormai la macchina era pronta per lo step finale. Così pensarono, almeno. Peccato che Grava e Buraglio fossero ancora dipendenti di Allianz. Peccato che il 3 giugno era a un passo e non potevano presentarsi dal notaio da dipendenti della multinazionale. In oggettivo conflitto d’interesse. Di corsa chiusero il rapporto il 31 maggio e il 3 giugno, come da programma, fu costituita la nuova società. Passaggio successivo: ottenere l’autorizzazione all’attività dall’autorità di vigilanza del settore. “Portiamo a Roma fisicamente uno scatolone che contiene tutte le carte, preparate per filo e per segno, che fanno al caso. Adesso si trattava di attendere - non più manager e non ancora imprenditori - il parere dei funzionari. A fine luglio ci viene comunicato che la struttura finanziaria andava rifatta totalmente. Nella pratica mancava un milione di euro. Qualche dubbio sulla fattibilità dell’impresa cominciava a farsi sentire. Ma erano dubbi che non ci impediscono di sistemare con oculatezza quanto richiesto. E così il 1° dicembre 2008 viene firmato finalmente il provvedimento di autorizzazione: la società Spa diventa una compagnia di assicurazione”.
Quando Tutela Legale alzò fisicamente la serranda nella sede sono in quattro persone: due soci e due dipendenti. Si strutturarono i primi due prodotti, si presero accordi con alcuni agenti disponibili nell’immediato sulla piazza. Con i primi di gennaio 2009 prendeva il via l’attività. Tutto bene, allora?

La Grande Crisi
Mica tanto. Perché, mentre erano ventre a terra per il rush finale, il mondo si era messo di traverso. Azzardi in serie nell’universo finanziario globale si stavano abbattendo sull’economia reale. Grava riporta al periodo della Grande Crisi: “Appena partita l’attività ci rendiamo conto che rispetto a quando abbiamo depositato l’istanza (giugno 2008) a quando iniziamo a lavorare (gennaio 2009), eravamo atterrati in un mondo totalmente diverso. Vi ricordare nel settembre 2008 le immagini scioccanti degli impiegati di Lehman Brothers che uscivano da Wall Street con i propri scatoloni per tornarsene a casa? Quell’immagine choccante rappresenta l’inizio del crollo. Noi incominciavamo a operare in un contesto che non c’entrava più niente con prima; tutto si dimostrava estremamente complicato. Ad esempio, alcuni degli agenti che ci avevano promesso di far parte del progetto, davanti alla nuova situazione si tirarono indietro, i pochi che mantennero la promessa erano comunque titubanti. Come dare loro torto? Questa impasse attesta un’oggettiva difficoltà rispetto al piano d’azione presentato all’ autorità di vigilanza, un piano che andava aggiornato ogni sei mesi. Il fatto che nei primi sei mesi non riuscimmo a centrare gli obiettivi indicati destò l’attenzione dell’Ivass che ci chiamò per conoscere le nostre intenzioni. Non andò in scena un dialogo facile. Loro a dirci che dovevano vigilare soprattutto a garanzia dei nostri clienti e noi a dire che qualcosa nel mondo nel frattempo era successa”. Anno duro, dunque, il 2009. Totalmente in salita, tipo Mortirolo. Tuttavia, grazie agli sforzi anche generosi di tre agenti a fine anno Tutela Legale riusciva a raggiungere una raccolta sufficiente a non intaccare la dotazione minima di capitale necessaria per essere in linea con la normativa di vigilanza sulla solvibilità.

L’alfabetizzazione assicurativa che non c’è
Dal punto di vista culturale l’Italia è una realtà che nutre una certa diffidenza verso il mondo assicurativo. Ha l’obbligo dell’Rca auto vivendolo come tassa, per il resto è profondamente insensibile al pensiero di tutelarsi rispetto alla componente del rischio. Si tratta di un deficit che denuncia un ritardo preoccupante, una sostanziale mancanza di responsabilità. Verso di sé e gli altri. Questo è un tema per nulla peregrino. Riguarda la nostra concezione di comunità perché la mancata attività di prevenzione assicurativa del possibile danno impatta sulla fragilità dell’insieme della convivenza sociale. E un danno sistemico a livello economico “perché le risorse vanno utilizzate per riparare i danni accaduti”, precisa Grava. In generale il mondo delle assicurazioni risulta essere tra i più penalizzati dal diffuso grado di sfiducia che esprime oggi la persona. Quello della progressiva perdita di fiducia è un problema di Sistema Paese. È come se venisse meno uno dei pilastri fondamentali per costruire. “Un Paese si costruisce con l’impegno a superare prove di maturità come quella solidarietà sociale e sensibilità civica. E perciò di benessere dei cittadini/persone”, aggiunge. E tutelarsi, preventivamente, da possibili rischi è lo specchio fedele di un Paese evoluto, appunto maturo e responsabile. Vedere come in tal senso si comportano altri Paesi, in modo particolare del Nord Europa, la dice lunga di una visione strategica, lungimirante, non fatalistica – e dunque virtuosa - rispetto al rischio del danno. Da noi si spendono 100 miliardi per giochi e lotterie e 34 per la raccolta assicurativa. Le persone sono molto più attratte dalla possibilità talmente remota da essere quasi fantastica di una vincita strabiliante al Super Enalotto, piuttosto che preoccupate dal proteggere con strumenti alla portata di tutti le cose a cui tengono di più. Sconvolgente, ma è così”.
Tutela Legale spa dal 2009 si muove in un clima di questo tipo confermato da ricerche e sondaggi. Tanto più complicato in quanto la torta è piuttosto ridotta rispetto al mercato assicurativo nel suo complesso: alla fine del 2020 la raccolta nel comparto della Tutela legale è stato di 520 milioni. Per quanto ci riguarda abbiamo chiuso il 2021 con 14,5 milioni e mezzo di ricavi da premi assicurativi.
Tuttavia, proprio la possibilità di operare in una nicchia di mercato offre più chance a soggetti indipendenti fortemente motivati e specializzati. Così, gli investimenti realizzati negli anni sono andati proprio nella direzione di affermare una crescita sostanziale d’impresa. “Il tema delle competenze tecniche andava implementato su numerosi fronti; da quello societario a quello della governance, all’information technology che, per una compagnia di assicurazioni ha un’importanza fondamentale per esempio in materia di cyber risk. E ancora la comunicazione, le politiche di bilancio, la questione decisiva del patrimonio. Tenuto conto che noi non abbiamo alle spalle un grande gruppo. Siamo noi. E quindi tutto deve essere governato in rapporto alle nostre possibilità. Pertanto acume, intraprendenza e misura”.  
La struttura di Tutela Legale spa è oggi composta da 26 persone, la sede è a Milano, la rete distributiva (il rapporto è stilato sulla base di contratti plurimandatari) annovera 265 agenzie in tutta Italia, prevalentemente concentrate nelle regioni del nord. Grava si augura che si arrivi a 300 a fine 2022. “Oggi abbiamo circa 145mila contratti attivi, cioè polizze attive e il premio medio è di 100 euro. Il 40% appartiene al settore delle imprese, l’8%, in incremento, tra i professionisti, il 40% ai rischi di tutela legale connessi alla circolazione stradale, il rimanente privati e condomini e qualche comune ma, in quest’ultimo caso, si tratta davvero di numeri marginali”. 

Lavorare per il futuro   
Il percorso di crescita di Tutela Legale spa prevede puntuali obiettivi strategici su cui lavorare. Grava entra nel vivo concentrandosi su quattro questioni dirimenti al salto di qualità: la dimensione economica; l’evoluzione dei canali distributivi, il tema tecnologico e quello normativo. Traduce così: “Dobbiamo riuscire a dimensionarci su una scala un po’ diversa; questo perché i driver che hanno sostenuto la crescita dei primi anni hanno puntato un po’ – a volte consapevolmente e a volte anche inconsapevolmente - sullo slogan ‘piccolo è bello’. In realtà questa dinamica rischia di non reggere più l’urto del presente e quindi dobbiamo pensare a qualcosa di nuovo. Raddoppiare il nostro fatturato nel giro di cinque anni ci metterebbe in una situazione un filo più tranquilla.  Anche perché dimensioni economiche diverse portano con sé dimensioni anche organizzative diverse, con tutto quello che a questo consegue in termini di investimento. Il secondo tema su cui c’è molta attenzione è l’evoluzione del modello distributivo. Noi siamo nati con un modello molto tradizionale che faceva leva su agenti e broker, quindi sull’intermediazione assicurativa tradizionale. Ci sono diversi segnali che incominciano a evidenziare qualche scricchiolio nella struttura distributiva attuale del mercato italiano in termini generali: il numero degli agenti cala, in alcuni anni in maniera molto significativa, un po’ per le politiche commerciali delle più grandi compagnie che magari spingono per accorpare il più possibile le agenzie facendo strutture maggiormente organizzate e questo determina una riduzione del numero complessivo degli agenti. E poi anche un po’ per elementi che oggi magari sono un po’ futuribili che però sono lì all’orizzonte da inquadrare bene: per esempio il tema della mobilità. Un agente che non è capace di evolversi dal punto di vista della concezione del proprio ruolo rispetto all’incasso dei premi Rc Auto è un professionista che non può avere futuro. Anche perché la mobilità nel futuro probabilmente sarà qualcosa di molto diverso da quello a cui siamo abituati noi, addirittura ci sono – lo sapete – i progetti sulla mobilità a guida autonoma, lo sharing che è già questione di estrema attualità ma poi ci sono tanti mega progetti a livello mondiale: le più grandi aziende non solo assicurative ma anche le big tech stanno investendo sulla guida autonoma, quindi ci sono progettualità che coinvolgono miliardi di dollari di investimenti sulle macchine che si guidano da sole. Questo è un ulteriore elemento che probabilmente - magari non oggi ma dal 2030/2035 in poi - inciderà in misura determinante sulle fondamenta dell’impianto del sistema distributivo, perlomeno italiano.  Quindi diciamo che dobbiamo far evolvere il modello distributivo immaginando sistemi di distribuzione che vadano oltre la distribuzione più tradizionale. Cosa vuol dire questo? Vuol dire per esempio: il mondo delle affinity. Le affinity sono grandi gruppi di persone accomunate da un elemento in comune, quindi grandi gruppi di persone da approcciare unitariamente con una offerta assicurativa specifica. Questo incomincia a costituire un modello distributivo un po’ diverso e per fare questo bisogna avere capacità di gestione della tecnologia più elevata di quanto non abbiamo oggi noi in casa”.
Grava chiarisce poi il terzo step per pensare oggi il futuro. Dice: “Gestire in maniera adeguata quella che oggi si chiama la disruption tecnologica, quindi l’innovazione, l’evoluzione in tanti ambiti, anche molto dirompenti. Oggi gli strumenti tecnologici a disposizione sono adeguati al business di oggi, che è quello di una crescita stabile, abbastanza lineare, senza strappi. Però se noi vogliamo provare scalare questa condizione e aumentare la dimensione economica in maniera più consistente, dobbiamo anche lavorare in termini tecnologici. Perché la gestione della multicanalità presuppone investimenti in piattaforme molto più performanti e molto più sofisticate rispetto a quelle che attualmente disponiamo. Magari incominciando a incorporare anche progetti che riguardano temi del tipo big data piuttosto che l’intelligenza artificiale. Ci sono per esempio forme di vendita che fanno leva su applicazioni virtuali che cominciano a vedersi e soprattutto in altri Paesi funzionano.  Quarto tema è la gestione di un framework normativo che diventa sempre più complicato, sempre più complesso, sempre più impegnativo. Il mercato assicurativo nel 2016, per esempio, è stato interessato dall’introduzione di una norma che ha cambiato radicalmente molti approcci all’interno dell’industria assicurativa; una direttiva europea che si chiama Solvency II, che ha introdotto delle norme in tema di solvibilità delle compagnie radicalmente diverse. Oggi le compagnie sono tenute a disporre di una disponibilità patrimoniale coerente con il sistema rischi insito nella compagnia stessa; c’è tutto un framework di rischi che ogni compagnia deve analizzare al proprio interno, identificare e quantificare sulla base di regole di calcolo determinate dalla legge. Ottemperare a Solvency II vuol dire che c’è il bilancio local, cioè fatto sulla base dei principi contabili italiani definiti dal codice civile e a cascata dai regolamenti IVASS e poi c’è il bilancio Solvency che è altro”. 

La relazione, polizza che non ha prezzo
Giovanni Grava e Stefano Buraglio guidano in due l’azienda. Tutte le decisioni di importanza strategica le decidono insieme. “Questo è un elemento che introduce una attenzione molto forte alla relazionalità, non solo dal punto di vista del Dna interno all’azienda ma anche di come l’azienda viene percepita all’esterno. Ovvero: Tutela Legale è l’azienda governata da Grava e Buraglio. Questo incide non solo a riguardo del governo dell’organizzazione interna, ma anche per immagine, di come essa viene percepita. Quindi c’è un modello strategico improntato a una relazionalità che si basa fondamentalmente sulla condivisione di competenze, sull’approfondimento progressivo e sempre più approfondito delle competenze. E la densità culturale di questo modello incomincia a essere percepita anche all’esterno, sia tra quelli che collaborano con noi e sia tra i competitor. Di conseguenza noi ricerchiamo nelle persone che lavorano nella compagnia un livello di implicazione personale che tende in qualche misura quasi all’identificazione con la persona che lavora, che collabora. Vale a dire: il mio lavoro, il lavoro di chi lavora da noi non è qualcosa di diverso dall’espressione più profonda della mia persona e della loro persona. Ecco perché cerchiamo di sollecitare tutti a fornire un contributo personale, originale. Per scongiurare il pericolo che il lavoro sia solo l’assolvimento di un compito. Ma il fatto, ogni giorno da scoprire e verificare, che la fatica del lavoro (perché ovviamente a lavorare si fa fatica) sia una espressione di sé. E quindi mi verrebbe da dire: la stabilizzazione in qualche modo di queste dinamiche interne, che incidono anche un po’ sullo stile, comporta un approccio ai risultati fondamentalmente orientato alla creazione di valore, che, secondo me, è un qualcosa di diverso dal profitto. Cioè: il profitto è più esclusivo, riguarda chi istituzionalmente nell’azienda è implicato dal punto di vista azionario; mentre il tema della creazione del valore è un concetto più ampio, largo e inclusivo che comprende tutti gli stakeholders. Il valore tende a essere condiviso più facilmente se il soggetto è chiamato a essere parte attiva – dunque una persona in relazione – nella creazione di valore”.
La creazione di valore condiviso è remare a sincrono sulla barca senza tirare i remi in barca…

 

× Attenzione! Testo dell'errore