• di Enzo Manes

Fare business in modo non convenzionale

Il Club Libera Impresa ha incontrato Gianluca Tacchella, amministratore delegato di Carrera Jeans. Una storia emblematica di una certa Italia. Reale come l’economia reale. Una leadership conquistata attraverso la fedeltà a una mission semplice, ma assai efficace. Guidata e aggiornata, dentro le complessità, da un imprenditore che conosce l’arte di saper decidere

Gianluca Tacchella rappresenta la seconda generazione di Carrera Jeans, azienda di punta del veronese. Ha 54 anni e ricopre la carica di amministratore delegato di una realtà sul mercato da 57 anni. Durare nel tempo, per lui, ha significato portare avanti l’attività in modo sostenibile. Fuori da cliché, mode, parole buone per convegni, impegni presi solo sulla carta. “Attenzione: noi siamo una delle prime aziende col certificato di sostenibilità coi criteri ESG in Italia, abbiamo la filiera tracciata con blockchain, ma queste sono carte! Fare le cose bene, con rispetto è l’unico segreto per durare nel tempo, questo è quello che ho imparato”. Quello che ha imparato nell’assumere il valore di una storia imprenditoriale importante, aggiornandolo secondo l’incalzare di questo tempo a forte complessità, ha innervato il dialogo con il Club dell’imprenditori in uno degli ormai tradizionali appuntamenti del sabato mattina, momento prezioso per mettere in circolo esperienze, creatività, preoccupazioni, desideri, legittime ambizioni. Insomma, il sale del fare impresa, il sale della vita.


Gestire i fattori fuori controllo

Carrera Jeans è un nome assai familiare. Basta la parola, per riprendere un claim di una fortunata réclame. Di grande notorietà nel mercato della jeanseria: leader con il 10% di quota nel comparto dei pantaloni uomo. Evidentemente l’impresa veneta è riuscita a mettere a fuoco e a centrare l’obiettivo del business secondo una sua specificità. Perché, ha spiegato l’ad, non esiste un solo modo di realizzare business e la struttura industriale come quella distributiva di Carrera dimostrano “che si può fare business in modo non convenzionale”. L’operare in modo non convenzionale consente di sintonizzarsi meglio e in misura più efficace “con i fattori che sono fuori dal nostro controllo in quanto sono diventati strategici da gestire”, afferma. Poi spiega così, entrando dentro le complessità di questi ultimi due anni che stanno cambiando tutto: “Pandemia, guerra, chiusura di negozi, stop ai viaggi, trasporti sempre più difficili, persone che fanno fatica a spendere. Perciò è scuramente importante predisporre il business plan, mettere giù il piano aziendale, ma gestire quello che non abbiamo sotto controllo è decisivo; e questo lo fai solo se sei sveglio e se hai dei collaboratori svegli. Non c’è un’altra regola. Per venire al concreto. Noi adesso abbiamo il camion che transita dalla Russia e dunque il nostro problema è grande: continueremo a passare di lì, visto che le nostre unità produttive sono in Tagikistan? Le complessità bisogna gestirle. Questioni decisive di cui tenere in gran conto nella stesura del business plan. Non è facile.
Tacchella ha chiarito quanto sia importante avere una mission molto chiara. Quella di Carrera la definisce semplice. E cioè: disegnare, produrre e vendere prodotti belli, che durano nel tempo e ad un prezzo accessibile. Aggiungendo: “Qui le parole contano! Il concetto di bello è un concetto che non è legato al tempo, quindi, noi dobbiamo fare prodotti che durino nel tempo; non ho usato volutamente la parola qualità perché un prodotto che dura nel tempo ha dentro la qualità. Faccio ancora un esempio (gli esempi mi piacciono): io non posso realizzare una t-shirt fatta bene che dura nel tempo con un tessuto scadente” Negli anni Carrera ha affinato la sua mission senza scostarsi dai pilastri fondamentali. “Diciamo che abbiamo aggiunto due aggettivi: prodotto bello, innovativo, che dura nel tempo, a un prezzo accessibile, fatto in modo sostenibile. Nella storia di Carrera la mission è fondamentale nelle scelte strategiche che abbiamo preso”.


In principio un atto d’obbedienza

Dunque è il momento di richiamare l’attenzione su scampoli di storia, sull’origine di una storia imprenditoriale di un certo significato. Che racconta di una solida Italia seppur ancora offesa dai drammi della guerra. Eppure capace di costruire dal basso. Anche qui con un avvio tutt’altro che convenzionale. Tacchella ha messo insieme il racconto con queste efficaci parole: “La realtà nasce da un atto di obbedienza, non nasce dalla passione di persone. Strano, vero? Il prete della zona – noi siamo di un paesino di duemila abitanti – un giorno va dai miei nonni, siamo negli anni Sessanta e gli dice che ‘sarebbe opportuno che uno dei vostri sei figli diventasse sarto’. Il sarebbe opportuno di un prete negli anni ’60 equivaleva a non hai alternative. Mia nonna abbassa la testa, prende uno dei suoi figli e gli dice che “sarebbe opportuno che tu diventassi sarto”. Il terzo figlio abbassa la testa, rassegnato e va a fare sartoria. Io immagino la risposta non proprio conciliante di mio figlio se oggi gli dicessi che sarebbe opportuno che tu, eccetera. Comunque, il buon Imerio, ragazzo obbediente, va a fare il sarto.  È grande come me, quindi immaginate per uno grande come me prendere ago e filo; un vero macello! Allora bussa a mio nonno e gli dice rispettoso e risoluto: ‘Io non riesco a fare il sarto con le mani. Almeno comprami una macchina da cucire’.  Il nonno comprende e gliela compra. E così Imerio prende pian piano confidenza con l’apparecchio cimentandosi nelle realizzazioni dei capi. L’esperienza lo aiuta a capire che la camicia da fare è un lavoro che richiede troppo tempo, lo stesso la giacca, però le braghe no, sono più veloci da fare! Va da un grossista e gli dice che lui è capace di fare le braghe. Il grossista gli risponde: ‘Va ben, fammi le braghe’. Gli mandava il tessuto e Imerio faceva; la qual cosa funzionava perché la domanda era più forte dell’offerta”. Al compimento del ventunesimo anno d’età, quando si diventava maggiorenni, Imerio, visti i risultati, convinse i fratelli, tra cui il papà di Gianluca, ad avviare una società dedita alla fabbricazione di braghe. Nasceva così la Tacchella confezioni srl.


Quelle braghe chiamate jeans

In principio la produzione riforniva il mercato locale attraverso i grossisti poi, nella parte matura degli anni Sessanta, ecco la svolta; arriva il jeans, percepito dalle nuove generazioni come strumento di ribellione nell’abbigliamento: i figli indossavano pantaloni diversi dai genitori. “Ma aveva un’altra caratteristica il jeans: era il prodotto più facilmente industrializzabile; pertanto la Carrera opera la scelta vincente di puntare molto sulla industrializzazione. E più producevi, più vendevi. Alla fine degli anni ’80 Carrera diventa uno dei più grandi player europei di produzione del jeans con 30 stabilimenti, 3000 persone dirette (2000 i collaboratori indiretti). Ormai produceva tutto, anche camicie e giubbotti. L’azienda è arrivata a produrre fino a 30 milioni di jeans. Un vero brand sul mercato”. Gianluca Tacchella è entrato in azienda nel 1993 assorbendo subito il mantra del successo: produrre un prodotto bello ad un prezzo giusto. E ricorda con giustificata soddisfazione che Carrera è stata la prima impresa a realizzare il jeans denim italiano.


La parola magica è cotone. Si va in Tagikistan

Ricerca e sviluppo sono stati passaggi significativi della storia di questa realtà del veronese. La prima macchina automatica di attaccatura delle tasche è stata fatta in Carrera. In Carrera si è giunti a produrre un jeans in meno di dieci minuti. Tuttavia vi era il problema dell’incidenza del costo della manodopera. Alla fine anni ’80 iniziano ad arrivare sul mercato prodotti proveniente da Bangladesh, Cina, Pakistan. I grossisti clienti storici di Carrera fanno notare che sul mercato si trovano prodotti simili a un prezzo più basso. Prosegue la storia: “Nel 1989 cade il muro di Berlino. Dall’est europeo viene detto che volevano ancora comperare i jeans Carrera ma che, in sopraggiunta assenza di valuta, potevano pagare con materia prima. La parola magica è cotone. Però lo potevano dare in Tagikistan. Mio zio non sapeva neppure dove fosse quel Paese. Cartina e via. Andò lassù con mio padre, fecero una riunione con gli imprenditori nel contesto di una democrazia giovane. Conclusioni della ricognizione e degli incontri: strutture e infrastrutture c’erano. Come una certa cultura tessile in quanto si produceva la seta. Mio zio e mio papà tornati a casa concordano: ‘Sai cosa facciamo? Abbiamo molte macchine, le spediamo in Tagikistan e proviamo”. Ne è nata una joint venture con quello Stato. Risultato? Dopo circa tre anni, ecco attiva una filiera completamente integrata: tessile, filatura, tessitura, confezione, finissaggio, tintoria, stireria. In pratica: entrava la balla di cotone e usciva il prodotto finito! In Tagikistan, nella fedeltà alla mission aziendale, abbiamo potuto realizzare prodotti molto più belli di quelli che facevamo in Italia, a parità di costo! Cioè, non abbiamo barato con il consumatore: abbiamo alzato la qualità tenendo il costo”.


La cultura del rispetto

La sfida del Tagikistan è partita per una necessità, per una situazione non programmata. Quella storia l’ha costruita mio zio con l’equipe dei suoi tecnici. Perché si trattava di formare tutto il personale tagiko. Ha spiegato Tacchella: “Nella filiera integrata devi dire al contadino cosa è chiamato a piantare in base alla lunghezza della fibra; come regolare la filatura, come regolare la tessitura, cioè è tutto un processo che uno deve imparare col tempo. Così abbiamo fatto formando tutta la gente locale. La fabbrica è nostra ma se domani mattina il governo del Tagikistan non ci dà il visto di entrata noi diventiamo di colpo proprietari di niente. Perciò abbiamo fatto un passo in più. L’azienda deve rimanere nostra, ma deve essere anche del Tagikistan, delle persone che ci lavorano. Siamo a 7000 km di distanza. E sappiamo che abbiamo un’unità produttiva nostra gestita interamente da loro. È 32 anni che funziona così. Nel rispetto assoluto di regole, della dignità del lavoratore. La filiera del rispetto reciproco è fondamentale, vero e proprio pilastro del processo di sostenibilità aziendale. Probabilità che il rapporto si interrompa? Sì, come tutto. Ma lo ritengo improbabile. Ci tengono moltissimo. Vogliono bene alla fabbrica. Si fidano e noi ci fidiamo. Sapete che tasso di difettosità abbiamo laggiù? Zero virgola qualcosa”. E aggiunge per innervare questo pensiero: “Noi non possiamo controllare cosa farà la Cina che è impegnatissima nella pratica di accaparrare tutte le materie prime. Ebbene, non escludo che possano attivarsi in Tagikistan per comperarsi tutto il cotone. Tuttavia, se tu ha costruito una relazione con i tagiki basata sul rispetto e la dignità hai molte possibilità che il cotone per te ci sia sempre. Anche perché senza il cotone la fabbrica si fermerebbe e questo sarebbe un danno per tutti, in primo luogo per il governo e i lavoratori di quel territorio”.


Il cambio organizzativo

Quando parte l’operazione Tagikistan Gianluca Tacchella era entrato in azienda da tre anni. E nel 1999 ne diventa amministratore delegato. Ad appena 31 anni. Con l’incombenza non certo semplice di gestire la chiusura di unità produttive, compresa la prima storica di Verona. Tuttavia, insieme ai ribaltamenti nel mondo industriale, necessitava intervenire nella distribuzione. Con alternative al tradizionale canale dei grossisti che garantiva a Carrera una penetrazione assai capillare: il prodotto era dappertutto. Tacchella comprese che alla prova dei fatti i grossisti erano i suoi primi concorrenti. Così provò a muoversi in prima persona per avviare un percorso diretto con la Gdo. Consapevole della forza del marchio propose a una famosa insegna di quel canale di lasciargli una parete di dieci metri quadrati all’interno della superficie di vendita dove poter allestire un corner con prodotti Carrera e vedere… l’effetto che fa. A Roncadelle, in provincia di Brescia, il primo esperimento. Funziona che è una meraviglia. Si procede con altri Auchan. Sempre con il prodotto a marchio Carrera non scegliendo a seconda del canale distributivo come avviene per altre aziende del settore. “Mai generare confusione nel consumatore. Così nella Gdo il cliente finale trova lo stesso prodotto che distribuiamo nel canale tradizionale o in altri canali con cui collaboriamo” ha precisato. Questo vuol dire fare il bene del consumatore. Di nuovo la centralità della mission. Carrera controlla ogni pantalone, uno a uno. La taglia deve essere sempre quella giusta tenuto conto che spesso è la moglie che fa l’acquisto e porta a casa il jeans. Deve perciò essere certa che la taglia corrisponda. Insomma, sempre il meglio. Sempre la fedeltà Carrera. “Con l’innovazione che c’è, diciamo invisibile, ma c’’è. Ma la prima questione è che il consumatore deve essere rassicurato sul fatto che acquista un prodotto Carrera perché ne ha già fatta esperienza o perché vi si accosta per la prima volta avendone conosciuto reputazione e notorietà”.  L’ingresso dalla porta principale nella Gdo, con l’impatto che la cosa ha avuto, ha per forza di cose determinato un cambio organizzativo nell’azienda. Tacchella stesso è diventato il principale riferimento commerciale per nuovi grandi clienti: “Risposte rapide da chi decide”. Per rispondere ai bisogni. Ciò significa che Carrera è diventata un’azienda di servizi che si occupa di abbigliamento. Non più solo un’azienda di abbigliamento. “Questo passaggio strategico ha comportato un cambiamento nel nostro modello organizzativo. E a costruire un rapporto relazionale più forte tra di noi. Uno stare insieme anche fuori dall’azienda. Laddove conversando spesso emergono le soluzioni migliori davanti a una buona birra. Non a caso ho una realtà nella produzione di birra artigianale. Il rapporto informale motiva ad aprirsi di più. E questo è fondamentale. Cementa. Costruisce”.     


Accelerare o frenare

Oggi i prodotti Carrera li trovi nei luoghi che il consumatore frequenta. Il mercato è cambiato. Non è un qualcosa di statico, di risolto una volta per tutte. “Ci trovate in Autogrill, in Pittarosso, nei Brico, nei petshop, oltre che nei negozi di abbigliamento. Già. Abbiamo realizzato un progetto per il canale pet molto interessante. Siccome molti, moltissimi consumatori hanno un cane il petshop per loro è divenuto un appuntamento famigliare, settimanale. Mi sono detto: ‘Devo portare i miei jeans anche lì. Abbiamo realizzato un vestitino in jeans per i cani. Una modalità per collocare i nostri jeans all’interno dei petshop. Così, in un colpo solo, vesto il cane e il suo padrone allo stesso modo”. Per Tacchella, dunque, non c’è una sola modalità di fare business: “Carrera sta portando il tessile dove il tessile non esisteva. Ma attenzione: il prodotto è sempre quello, non cambia in funzione del canale distributivo. Non ci interessa fare qualcosa che non siamo. Certo che bisogna avere coraggio. E visto che manteniamo la leadership di mercato con il 10% vuol dire che il prodotto Carrera il consumatore lo trova giusto. Sia che lo acquisti in una insegna della GDO sia in un negozio Pet”. Ancora e sempre la fedeltà alla mission.


Il ruolo dell’imprenditore? Prendere decisioni. Ovvero: “Io devo mettere in difficoltà l’azienda: ‘Beh, prendiamo i jeans e facciamo i cuscini per cani’. Con il vantaggio dal punto di vista della sostenibilità che chi acquista compra un prodotto frutto di economia circolare e non una cosa che ho inquinato tre volte per poi rimetterla in circolo. Ma a quel punto il tuo collaboratore ne sa molto di più. A me, come imprenditore, tocca decidere quando accelerare o frenare. E se decido che è il tempo di accelerare occorre che le cose vengano fatte velocemente. Non accetto che decido di accelerare e continuiamo a discutere di quello. Prima discutiamo, ragioniamo, vediamo tutto ma dal momento in cui si decide deve passare pochissimo tempo per giungere alla realizzazione. Perché, nel frattempo, il mercato cambia. E non aspetta i ritardatari”. Chi ha tempo non aspetti tempi, dicevano i saggi. Proverbio evergreen. Dunque sempre… sostenibile. 

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